Appunti sul libro di Rocco Pezzimenti "La società aperta nel difficile cammino della modernità". Viene analizzata l'evoluzione della società aperta nella filosofia di Hume, Gucciardini, Burke, Croce...
La società aperta nel difficile cammino della modernità
di Luca Porcella
Appunti sul libro di Rocco Pezzimenti "La società aperta nel difficile cammino
della modernità". Viene analizzata l'evoluzione della società aperta nella
filosofia di Hume, Gucciardini, Burke, Croce...
Università: Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-
(LUISS) di Roma
Facoltà: Scienze Politiche
Corso: Scienze Internazionali e Diplomatiche
Esame: STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE
Docente: Rocco Pezzimenti
Titolo del libro: La società aperta nel difficile cammino della
modernità
Autore del libro: Rocco Pezzimenti
Editore: Soveria Mannelli: Rubbettino
Anno pubblicazione: 20021. La societá aperta
1.1 Le costituzioni di Roma e dell’Inghilterra sono il simbolo delle costituzioni flessibili: capaci di adattarsi
agli eventi, mai completamente definite (grazie a un senso del limite connaturato a quei popoli), rispettose
della tradizione e dei costumi antichi, considerati il presupposto per ogni cambiamento (che avviene
velocemente, secondo le necessità, senza che lo Stato cada nel caos).
1.2 Le società aperte sono nate presso le civiltà che hanno saputo coniugare una concreta mentalità
giuridica, un rispetto per la tradizione (Roma: Senato, Inghilterra: Camera dei Lord) e i meriti, un acuto
ingegno pratico.
1.3 La distinzione tra pubblico e privato (conquista del mondo latino, pienamente ripresa dal
costituzionalismo americano) evita i pericoli della democrazia totalitaria e dell’eccessivo interventismo
statale.
1.4 Tra la posizione aristotelica (l’uomo è animale sociale) e quella di Hobbes/Machiavelli (l’uomo è una
bestia feroce che deve essere sottoposta a un’autorità assoluta), vi è quella di Cicerone (e VICO): l’uomo
esce lentamente dallo stato di ferinità e, avendo una naturale propensione alla socialità, la realizza solo
dandosi delle regole che hanno la forza di farsi rispettare (Cicerone: LE DITTATURE E GLI
AUTORITARISMI NON GARANTISCONO NE’ PACE NE’ ORDINE, SONO, AL CONTRARIO, IL
CERTIFICATO DI MORTE DI DEMOCRAZIE ORMAI SVUOTATE DEI LORO FONDAMENTALI
CONTENUTI).
1.8 Nel considerare il cammino della modernità, bisogna evitare i “pericoli di assolutizzazione” (Vico) nel
considerare i periodi cruciali della storia: bisogna considerare tutti gli aspetti, senza esaltare o demonizzare
in toto i periodi più complessi (come l’Illuminismo).
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 2. L’idea politica di Guicciardini
1.9 Francesco Guicciardini (1483-1540) fu un umanista mosso da ideali repubblicani e aristocratici, capace
come pochi di comprendere la situazione del suo tempo e, con brillanti intuizioni, di opporsi al dilagante
assolutismo.
1.10 La politica è scienza della previsione: essa richiede particolari attitudini (discrezione), una lunga
esperienza e uno studio accurato, specialmente della storia. Non basta studiare i classici, bisogna anche
conoscere profondamente le vicende storiche delle singole nazioni, e per questo la politica non può essere
praticata indistintamente da tutti: è un’attività elitaria, che richiede grande esperienza e una innata intuizione
per riuscire.
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 3. La “Storia d’Italia” di Guicciardini
1.11 Con la “Storia d’Italia” Guicciardini mostra grande lungimiranza nel prevedere il futuro dei fatti
politici, ma anche nello scorgere le conseguenze politiche (esempio: il crollo dei commerci nel Mediterraneo
e la lotta per l’egemonia coloniale dopo la scoperta dell’America).
1.12 L’Italia era attraversata da una profonda crisi politica e militare: fu una crisi d’autorità che fece
capitolare le tradizionali autorità divine e terrene in favore dello stato. Queste novità dei tempi, però, non
furono recepite dai Principi italiani, troppo presi dal loro “particulare” per risollevarsi da una profonda crisi
morale.
1.13 La situazione italiana non poteva migliorare, anche perché mancava un efficace apparato militare
capace di cacciare il “vincitore”: ai conquistatori si opponevano solo truppe mercenarie, troppo interessate al
loro utile personale per lottare seriamente per il bene dell’Italia.
1.14 La situazione italiana risentiva tanto di una crisi internazionale quanto di crisi interne spesso provocate
da nobili/famiglie/cittadini incapaci di leggere le novità del presente e rivolti nostalgicamente al passato.
Queste crisi partivano dalle città, poi dilagavano anche nelle campagne (dove erano forti gli interessi dei
nobili), tanto da ridestare idee come quella dell’Impero capace di assicurare una quiete che ormai sembrava
inarrivabile.
1.15 La decadenza italiana era politica e morale: gli Italiani, stanchi delle turbolenze del passato, si diedero
alla rassegnazione, cosicché, pur di avere la pace, si era disposti ad accettare il potere di chiunque potesse
garantirla. Tuttavia, Guicciardini non arriva a legittimare (come Hobbes) l’avvento della dittatura con la
necessità di un ordine sociale: sa che il governo sicuro non può mai essere arbitrario anche se può dare
alcune garanzie.
1.16 Guicciardini, così, introduce l’idea di certezza del diritto: dove c’è la legge non c’è arbitrio perché
anche i giudici vi devono sottostare. La legge deve essere difesa per salvare la sua certezza e la sua forza
coattiva.
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 4. La “fine delle certezze”: le conseguenze inintenzionali
1.17 Guicciardini parla quasi di “fine delle certezze”, almeno in campo politico e sociale, poiché riconosce
l’emergenza di conseguenze inintenzionali di azioni umane intenzionali, tant’è che in alcuni campi non
possono esistere regole certe e assolute per la varietà delle circostanze che determinano le conseguenze delle
azioni umane.
1.18 L’incertezza è ineliminabile, e domina specialmente nel campo della politica. I politici sono
maggiormente soggetti al mutare delle contingenze, ciononostante si credono scienziati, e presumono di
poter attuare previsioni certe sul futuro, le quali si rivelano spesso fallaci.
1.20 Al tempo di Guicciardini, era diffusa la presunzione di poter organizzare non solo la vita civile, ma
anche la politica militare, per sua essenza incerta e sottoposta a mille “accidenti”. Non significa, però, che si
debba procedere a caso, ma che bisogna considerare ogni evento e condizione, anche le più piccole, e non
procedere solo con il proprio piano prestabilito.
1.21 L’attività politica, allora, per far fronte alle conseguenze inintenzionali e alle realtà impreviste, deve
essere guidata da prudenza, prontezza e inventiva, che devono essere acquisite con una lunga preparazione.
1.22 Di fronte all’insicurezza del presente e all’incertezza del futuro, Guicciardini non cede alle tentazioni
assolutistiche di cedere la libertà personale in nome della sicurezza: la libertà, per sopravvivere, ha bisogno
di regole certe, ma è innaturale rinunciarvi per ottenere sicurezza. Bisogna piuttosto definire in anticipo le
“regole fondamentali” della convivenza per evitare che i governanti cadano nell’arbitrio.
1.24 Se non ci sono regole, non serve essere liberi, perché viene incoraggiata solo l’ignoranza e
l’intelligenza non è stimolata. Ma non si tratta di semplice legalità: servono anche tempismo e occasione
(nella vita come in politica) per poter agire al momento giusto, con le migliori condizioni e con efficacia.
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 5. Le regole fondamentali della comunitá politica
1.26 Fondamentale è l’eguaglianza, cioè la possibilità di partecipare alla vita politica e di ricoprire certe
cariche. Guicciardini riconosce il rischio dell’eccessiva continuità del potere nelle stesse mani, e quindi
formula una teoria di osmosi sociale che garantisca la massima partecipazione possibile alla vita pubblica (e
quindi un certo mutamento) pur entro un solco di continuità che sia garante degli affari più ardui (un Senato
sul modello della Camera dei Lord, composto dal fior fiore degli uomini della città).
1.29 Guicciardini rifiuta tanto il dispotismo quanto il populismo, e dunque, con Tocqueville, la demagogia
delle democrazie di massa. È contrario all’esperienza democratica ateniese (“meramente populare”) mentre
apprezza quella romana (con un giusto bilanciamento tra elemento democratico e aristocratico, un sistema
rispettoso ed efficiente), segnata da continuità e apertura al nuovo nello stesso tempo.
1.30 Guicciardini vede nella vita politica un gioco di pesi e contrappesi volto a evitare che qualcuno prenda
troppo potere e, soprattutto, volto a contrastare la fuga delle intelligenze: gli spiriti più onesti, grandi e
ambiziosi devono avere la possibilità di agire e di compiere grandi cose. Si determina una divisione del
potere che non può essere improvvisata, ma che nelle città italiane non dovrebbe essere di difficile
attuazione.
1.31 La giustizia non esiste nei sistemi dispotici, ma è messa a dura prova anche nei sistemi popolari:
dispotismo e populismo non hanno la prudenza necessaria a salvaguardare libertà e sicurezza.
1.32 Quando una personalità carismatica si procura l’appoggio del popolo con misure demagogiche, si ha un
connubio tra populismo e dispotismo che, il più delle volte, ha portato a esiti negativi. Perciò, l’elezione di
alcune cariche (gonfaloniere) deve essere sottratta al popolo e affidata a un Consiglio Grande (Senato +
elemento popolare).
1.34 Una grande Repubblica deve muovere i cittadini a ricercare le virtù, non il loro contrario, e a produrre
grandi opere (idea anche di Montesquieu). Il richiamo alla virtù e alla libertà deve essere prima di tutto
frutto di un ordine interiore degli uomini, senza il quale non è possibile nessun ordine esteriore.
1.36 Dopo Guicciardini, altri pensatori parlarono di un uomo libero per natura e capace di maturare solo in
condizioni di socialità. Estienne de la Boétie parla della servitù volontaria: è la condizione in cui gli uomini,
per una serie di circostanze storiche, hanno perso il loro anelito alla libertà e, rassegnati, accettano
passivamente la presenza di un tiranno, cosicché la vera natura dell’uomo non è più la libertà, ma la
schiavitù basata su un sistema di obbedienza che il tiranno costruisce e da cui è difficile evadere.
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 6. La religione nella visione di Hume
3.33 Hume, pur riconoscendo l’esistenza di principi primi nella scienza come nella religione, giudica vana e
dispendiosa (non inutile) la loro ricerca, che sfugge sempre all’uomo. Non discute dell’utilità della ricerca,
bensì vuole trovare una metodologia che permetta di acquisire le poche certezze possibili, ben ricordando i
limiti della ricerca.
3.34 La religione è fede (in senso cristiano), quindi non può essere pienamente compresa in senso razionale,
ma non deve neanche essere criticata per le sue inevitabili contraddizioni. Per essa Hume nutre profondo
rispetto, non scetticismo.
3.35 La religione è legata alle passioni, ma questo non è un elemento di debolezza: le passioni sono un
elemento fondamentale per Hume, e la ragione astratta può fare poco in ambito religioso. Attribuisce alla
religione uno spazio inconsueto per il suo tempo.
3.36 Il pensiero e la ragione hanno dei limiti, che si riflettono poi nei limiti della libertà. Ciò è evidente nelle
consuetudini, animate dalle passioni che a loro volta generano la storia. In questo senso, le passioni
costituiscono la costante delle esperienze umane, al di là dei tempi e dei luoghi.
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 7. Le determinanti dell’azione politica
3.37 L’azione politica deve dipendere dagli interessi e dalle necessità quotidiane dei cittadini, da cui deriva
l’obbligo della giustizia (primo: difesa della proprietà privata). Per questo, sono pericolosi quei partiti che
propongono una razionalità astratta, delle convinzioni generali sulla natura del potere che nulla hanno a che
fare con la situazione attuale. sono solo utopismi che generano irrigidimenti e, proponendo grandi riforme
dell’umanità, impediscono di ottenere una vera stabilità in un paese.
3.39 In politica è estremamente difficile distinguere nettamente il giusto dallo sbagliato; è necessario
muoversi con prudenza e moderazione, che consentono di opporsi alle pretese utopiche e all’ignoranza
dogmatica e confusionaria. Questo atteggiamento è insito nella costituzione inglese ed è praticato dai partiti,
che sono partiti d’interesse e non di principio/d’affetto.
3.40 Autorità – Libertà Tra le due entità c’è continuo scambio e arricchimento: lo Stato – Individuo
sviluppo della società politica (AUTORITA’) ha portato a maggior sicurezza e libertà, e poi a un maggior
arricchimento. Non è possibile realizzare una libertà astratta, poiché c’è sempre uno stretto legame tra
l’autorità (legittima) e la libertà, e tra la libertà e il progresso/arricchimento.
3.42 Nessun individuo è autorizzato a compiere violente innovazioni (=utopismo): bisogna allora che il
potere legislativo sia suddiviso tra due diverse assemblee, ciascuna autonoma dall’altra per dare validità ai
propri atti. Hume approva la “costituzione mista”, che con i suoi elementi - monarchico, aristocratico e
democratico – dava stabilità alla costituzione inglese generando il consenso verso di essa.
3.43 Il consenso non è mai definitivo (non ci può essere un contratto originale vincolante per le generazioni
future alla maniera di Rousseau), ma deve essere continuamente ribadito a seconda delle circostanze, che lo
arricchiscono di nuovi contenuti e regole.
3.44 Il rapporto autorità-libertà permette un giusto equilibrio stabilità-innovazione: in Inghilterra, la Camera
dei Lords rappresenta la tradizione (autorità), la Camera dei Comuni l’innovazione (libertà).
3.45 Non c’è motivo di “gelosia” nei confronti dei successi economici dei paesi vicini: l’attività interna di
ogni nazione è incrementata dai progressi delle altre, e l’arricchimento di un paese vicino stimola l’altro a
produrre per incrementare il commercio. L’attività mercantile, in questo senso, non va screditata, poiché è la
vera attività produttiva (per i singoli, per la nazione e per quelle vicine).
3.46 Lo sviluppo economico non è messo in pericolo tanto da fattori internazionali quanto da questioni
interne, specie dal sistema tributario, che in sé non è scorretto, ma lo diventa quando se ne abusa: ad
esempio, quando si crea la “situazione mostruosa” in cui lo Stato si serve delle tasse non per dare servizi ma
per pagare debiti precedentemente contratti in altro modo.
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 8. Adam Smith e l’idea di politica
3.47 Per Smith la politica (società artificiale) è una sorta di emanazione, seppur importantissima,
dell’economia (società naturale).
3.48 L’uomo, per Smith, non è un “animale sociale”, ma in primo luogo un “animale che lavora” e che, solo
dopo, diventa politico. Ma è la divisione del lavoro che spiega la dimensione antropologica e tutta la vita
dell’uomo: il modo di lavorare determina il modo d’essere in società.
3.49 L’attività economica ha delle sue regole, ma è estremamente più efficace solo se l’attività politica
garantisce le regole del mondo del lavoro e, soprattutto, ordine, pace e sicurezza (che ha portato a
concentrare il capitale dalle campagne alle città).
3.50 Una società che vive in pace accresce la dimensione del mercato: di pari passo va la divisione del
lavoro, che è determinata e proporzionata proprio dall’ampiezza del mercato. Tuttavia, essa non deve essere
assolutizzata né portata alle estreme conseguenze (no anarchismo): la divisione del lavoro porta a non
esercitare mai l’intelletto e l’inventiva (a causa della ripetitività del lavoro), e così un popolo può arrivare a
indebolirsi nella mente e nel corpo.
3.52 L’aumento del mercato è proporzionato all’aumento degli scambi, da cui nasce la necessità di un
adeguato strumento, la moneta. Essa ha i giusti requisiti di moralità e giustizia (non è esposta a frodi, a
falsificazioni della quantità di metallo prezioso contenuto) e possiede un valore d’uso e un valore di
scambio. Tuttavia, per Smith, il giusto valore della merce può essere determinato solo secondo il valore-
lavoro: solo il lavoro non varia mai il suo valore, dunque è la sola misura reale su cui fare affidamento per
stimare il valore reale di una merce
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 9. Perseguire l’interesse pubblico tramite l’interesse privato
3.53 Perseguendo il proprio interesse (indispensabile), si realizza anche quello pubblico, come se si fosse
mossi da una mano invisibile. Comunque, il processo economico si assicura quando, oltre a perseguire il
proprio interesse, si ha formazione di capitale: in particolare, il profitto del capitalista aggiunge al prezzo
delle merci un’entità che fa crescere il valore-lavoro iniziale. Nota Smith che in città i cambiamenti vengono
recepiti e assimilati con più facilità perché divisione del lavoro e associazione si realizzano e progrediscono
meglio, dunque anche il senso sociale è più sviluppato.
3.54 Solo con l’accumulazione di capitale si ha un reale sviluppo, che spesso precede quello della divisione
del lavoro: senza accumulazione di capitale si vive in una società statica e chiusa, dunque bisogna superare
lo stato iniziale di pura sussistenza per avere un vero sviluppo.
3.55 Smith distingue il lavoro “produttivo” (produce valore, cioè accresce il valore dell’oggetto al quale è
destinato) da quello “improduttivo”. Solo il primo permette di recuperare, con un profitto, il capitale che
viene anticipato con un investimento, anche se i lavori improduttivi possono comunque avere un elevato
valore sociale (protezione, sicurezza del bene pubblico…) ma che devono prevedere una spesa ben
determinata e che non superi certi limiti, in quanto non verrebbe recuperata con alcun profitto. Il capitale si
genera e si accresce solo se c’è parsimonia, che dà luogo al risparmio e alla formazione di capitale.
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità 10. Il Nord America e Roma: due casi fondamentali
3.57 Smith dedica grande attenzione al Nordamerica, in particolare alle colonie inglesi: esse, oltre ad altri
requisiti che ne garantiscono un sicuro progresso, hanno a loro favore un elemento che Smith giudica
fondamentale, la crescita demografica, che secondo lui porterà alla prosperità del paese. È naturale il
bisogno di indipendenza che i nordamericani provano, e la Gran Bretagna dovrebbe concederla loro,
permettendo che si organizzino autonomamente.
3.58 Smith nota come, nei periodi di crisi, anche Roma abbia dovuto fronteggiare tentativi d’indipendenza
di varie popolazioni, e come abbia, in quei casi, concesso privilegi ai suoi alleati che altrimenti si sarebbero
rivoltati; anche gli Inglesi dovrebbero comportarsi così, e non come gli Ateniesi, gelosi ad oltranza della
loro cittadinanza.
3.59 Nonostante le contraddizioni inevitabilmente presenti in un’opera monumentale come quella smithiana,
essa rimane fondamentale specialmente per i grandi lasciti alla cultura successiva: fiducia e rispetto verso la
libertà naturale; necessità di protezione contro la violenza per tutta la società; opposizione all’ignoranza e
alla stupidità. Tutti elementi cardine della società liberale e democratica.
Luca Porcella Sezione Appunti
La società aperta nel difficile cammino della modernità